Dietro alle fortune dei palazzi, ci sono sempre dei grandi uomini.
E dietro le rovine degli stessi ci sono sempre degli uomini, che hanno però una diversa sensibilità e una diversa visione delle cose, una ristrettezza mentale e una scarsa conoscenza della storia.
Perchè si sa che senza ricerca e conoscenza, difficilmente si riesce a tutelare un bene e a valorizzarlo.
Questo è il caso di Palazzo Bressa a Treviso, uno dei più bei edifici che la città potesse vantare.
La storia di Palazzo Bressa iniza con Venceslao da Bettignoli, vero nome della famiglia Bressa giunta a Treviso nel 1326 proveniente dal territorio bresciano. Non avendo avuto figli, Venceslao nel 1493 decise di costruire un palazzo che potesse ricordare ai posteri il suo passaggio nel mondo dei vivi.
Così, come riportato in molti documenti trascritti da Gustavo Bampo nel suo "Spoglio notarile" - conservato presso la Biblioteca Civica di Treviso - Venceslao diede avvio al cantiere assumendo maestranze di primo livello provenienti anche dalla vicina Venezia.
Le cronache riportano che lo splendido palazzo, di cui vediamo un'immagine tratta dal manoscritto di Francesco Scipione Fapanni, sia stato progettato dal noto scultore e architetto veneziano Tullio Lombardo.
E a ben vedere questo prospetto, si può anche credere che il progettista del palazzo non potesse essere un semplice mastro muratore ma si doveva riferire a qualcuno che ne sapeva molto di proporzioni e distribuzione di elementi architettonici!
Come si può leggere negli atti notarili riportati dal Bampo, i lavori proseguirono per diversi anni in un alternarsi di maestranze che con abile manualità realizzarono tutte le opere da lapicida (tajapria), da muratore e da falegname (marangon).
Quando nel 1499 Venceslao Bettignoli stese il suo testamento, il palazzo non era ancora ultimato, e sarà suo nipote Giovanni Antonio a portare a compimento l'opera iniziata dallo zio.
E' superfluo sottolineare, visto il palazzo che i Bressa possedevano nell'odierna Piazza della Vittoria, che questa famiglia non solo era una delle più importanti di Treviso ma anche una delle più "vicine" alla Serenissima, tanto che nel 1574, proprio per soddisfare una richiesta proveniente direttamente dalla Repubblica Veneziana, i Bressa ospitarono nel loro palazzo di Treviso il Re di Francia Enrico III in visita nei territorio della Dominante.
Come spesso accade però, le ambizioni delle persone portano anche a compiere degli errori.
L'appartenenza alla nobiltà trevigiana doveva sembrare troppo restrittiva per persone che invece ambivano a ben altre posizioni così, nel 1652, decisero di comperarsi il titolo di Nobil Homeni, versando nelle casse della Serenissima ben 100.000 ducati (i famosi nobili fatti per soldo).
La scalata sociale nella nobiltà veneziana si completò con il trasferimento della famiglia Bressa nella città lagunare. Ricchi dei soldi accumulati a Treviso, poterono acquistare la bellissima Ca' d'Oro, abbandonando al suo destino il palazzo trevigiano.
Ma le glorie veneziane si esaurirono in pochissimo tempo. Già nel 1674, nemmeno 25 anni dopo il loro ingresso nella Nobiltà Veneziana, i Bressa videro l'intero patrimonio conservato nel palazzo di Treviso battuto all'asta per pagare i debiti fiscali che avevano accumulato e nel 1764, visti i debiti che gravavano sul palazzo voluto da Venceslao Bressa, i suoi discendenti furono costretti a rinunciare alla sua eredità per non finire ancor più sul lastrico.
Palazzo Bressa cadde così in uno stato di profondo abbandono, utile solo per dare un tetto alle truppe dei dominatori che passarono da Treviso e tra il 1824 e il 1826, divenuto cava di materiali, venne completamente demolito, nella più totale indifferenza dei trevigiani.
Lasciamo le ultime parole di questo breve scritto a Fapanni che, citando autorevoli cronachisti, così descrive la rovina di uno dei palazzi più sontuosi di Treviso:
"pp. 285-286
Palazzo Bressa.
(Da Burchelati, Commenti, p. 355)
Il palazzo Bressa fu demolito nell'anno 1822. L'ultimo proprietario fu il muratore Francesco Sartorelli, che donò l'area al Comune, per tenervi il mercato della legna. Sorgeva a mattina della soppressa chiesa del Gesù, ora Caserma. Il disegno di questo grandioso fabbricato, delineato prima della deplorata distruzione, esiste nelle stanze della Congregazione Municipale. Era dipinto a fresco in stile giorgionesco e Federici ricorda qualche reliquia (Memorie, II, 2)
Fu una vergogna pei Trevigiani lasciar cadere questo Palazzo, e quello dei Pola. Sarebbero stati opportuni per gli uffici municipali, museo, ecc."
... del Palazzo dei Pola, ve ne parleremo in un'altra puntata.
"La vera terra dei barbari non è quella che non ha mai conosciuto l'arte, ma quella che, disseminata di capolavori, non sa né apprezzarli né conservarli" (Marcel Proust)
venerdì 24 giugno 2016
venerdì 10 giugno 2016
Bailo racconta: il Palazzo Rinaldi
Quanti conoscono i manoscritti di
Francesco Scipione Fapanni, conservati presso la Biblioteca Civica
di Treviso, sanno che non si tratta di semplice cronaca di quanto era custodito
in case, palazzi e chiese della provincia trevigiana, ma per quanto riguarda la
città di Treviso i suoi scritti possono essere assimilati a una sorta di guida
turistica in cui non si viaggia solo nello spazio ma anche nel tempo.
E laddove Fapanni scrisse il titolo
nella pagina senza poi completarne la descrizione, ci pensò l'abate Bailo a
completare l'opera, anche se con la sua calligrafia insicura determinata da
un'età avanzata che a tratti rende difficile la lettura.
Una delle "pagine
bianche" completate dall'abate Bailo riguarda quegli edifici che si
affacciano su piazza Rinaldi.
Ecco cosa scrive l'erudito
trevigiano, fondatore del Museo Civico nonchè direttore della Biblioteca:
"Case Rinaldi e lozzetta della
Osteria della Colonna.
In nessun luogo il Fapanni fece
ricordo delle case Rinaldi. Eppure la Principale o Domenicale, con una bella facciata
lombarde
sca nella piazzetta e belle stanze tra le quali una con quadri di pittura tiepolesca di G.B. Canal rappresentante la caduta di Fetonte.
Il Ramo Rinaldi credo il principale
padrone della casa con pozzo aperto al pubblico, terminò col vecchio Tita
Rinaldi che conservò il patrimonio con (...) facendo di notte giorno e strane
(...) e pagando salate e più con un artificio per cui i figli restarono con poca
(..). La casa fu acquistata dal N.ob. G. B. Bianchini che la intestò alla
moglie.
L’altro Ramo Rinaldi ebbe il luogo
la fabbrica che forma angolo e si protende sul giardino con gli attigui molini.
Il fabbricato da lungo tempo pubblico ebbe forma architettonica del Ch.
Oliviero Rinaldi.
La loggetta di fronte è di forma
molto interessante benchè nessuno (...). Probabilmente il locale serviva per
stalla o deposito e la loggetta fu (...) di spettacoli ai quali molto bene si
facevano.
La piazza innanzi (piazzetta
Rinaldi) di caso facilmente si possono chiudere gli sbocchi. Ricordo infatti
che nel 1846 fu così chiusa per spettacoli di cavalli e acrobatismo d’una
grande compagnia. Il fabbricato della loggetta doveva essere isolato e così
pare che la loggetta corresse tutto intorno aperta; nel centro del fabbricato
vi è una grande colonna e così l’Osteria fu chiamata della Colonna e ne portava
l’insegna.
Quel fabbricato della loggetta non
sembra antichissimo; tuttavia pochi anni sono ho comperato dall’imprenditore Paparotto
una vera da pozzo in macigno con stemma a rilievo che sembra del sec. XIII,
proprietà d’essa osteria credo fosse dei Papparotto.

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