lunedì 4 settembre 2017

OPERA LIRICA E CARTELLONISMO: ADOLF HOHENSTEIN E L'"IRIS" DI PIETRO MASCAGNI


La predilezione di Adolf Hohenstein per i lampi di rosso che sembrano "avvampare" molte delle sue realizzazioni grafiche, si trasformano, in uno dei suoi manifesti più conosciuti, in afflato drammatico e simbolico. Si tratta del manifesto che l'artista realizzò per il debutto dell'opera lirica - musicata da Pietro Mascagni su libretto di Luigi Illica – Iris. L'opera debuttò il 22 novembre 1898 al Teatro Costanzi di Roma, con protagonista una della cantanti più famose dell'epoca, la soprano di origine rumene Hariclea Darclée, conosciuta per essere stata la prima interprete di Tosca di Giacomo Puccini.
Il manifesto raffigura una fanciulla seminuda che, fluttando nell'aria, si staglia su di uno sfondo dorato, affiancata da una spira di fumo dentro cui si disperdono tre teste maschili, evidentemente giapponesi; ai suoi piedi è tutto un fiorire di magnifici iris viola. L'efficacia, oltre che l'eleganza, di questo manifesto non potrebbe essere maggiore: pochi elementi che racchiudono l'essenza stessa dell'opera, la prima in Italia, poi seguita dalla più famosa Madama Butterfly di Puccini, che si richiama apertamente a quella moda nipponica che già da qualche anno aveva investito le arti figurative e la letteratura. La trama dell'opera, da molti giudicata farraginosa e in certi tratti intelleggibile – motivo forse della sua scarsa fortuna nella seconda metà del Novecento, diversamente dalla osannata Madama Butterfly -, narra la classica vicenda della bella e ingenua ragazza circuita e poi rapita dai "vecchioni" e che, al rifiuto di concedersi, viene prima rinchiusa in una casa di malaffare e poi indotta al suicidio. E qui il melodramma raggiunge i suoi vertici poetici, sottolineati musicalmente dall'Inno del Sole che è sia ouverture dell'opera che catartica chiusura, laddove la ragazza si getta in un dirupo e il sole splendente in cielo la trasmuta in uno dei fiori emblema stesso dell'Art Nouveau, l'iris, simbolo di vittoria per i popoli orientali. Una sorta di assunzione in cielo in chiave liberty e simbolista.
La produzione di quest'opera lirica nasce da una precisa volontà del vulcanico editore milanese Giulio Ricordi, nell'intento di far giungere anche in Italia la moda per l'esotismo orientale, già ampiamente percorso da vari musicisti europei. L'operazione venne concepita, come si suol dire, "alla grande", creando tutti i presupposti affinchè il debutto venisse percepito come un grande e coinvolgente momento culturale, carico di aspettative. Egli mise in moto, a tal fine, tutta la sua "scuderia" grafica, a cominciare proprio dal direttore artistico, Adolf Hohenstein, che fu anche importante scenografo e costumista, e non soltanto per quest'opera di Mascagni. Hohenstein ideò sia il manifesto per il debutto romano, ma anche, assieme a Giovanni Mataloni, una serie di cartoline-ricordo che raffiguravano varie scene dell'opera; furono, inoltre, ideati e stampati calendarietti, locandine, chiudi lettera, copertine di spartiti musicali, tabelle in latta, il libretto-programma di sala e anche un libretto da vendere in edicola nei giorni precedenti il debutto. Si potrebbe ben affermare che per questa importante occasione musicale, si sia applicato il concetto propriamente liberty, dell' oevre globale: ogni elemento correlato all'evento venne scrupolosamente studiato e proposto al pubblico – prassi questa già consolidata, ad esempio con il sodalizio tra la divina Sarah Bernhardt e Alfons Mucha, che ad iniziare dal 1894 era divenuto l'incontrastato ideatore di manifesti, scenografie e costumi per ogni spettacolo della grande attrice.

Una perfetta operazione di marketing ante-litteram, quella per il debutto di Iris, che aveva lo scopo di garantire successo e positivi riscontri. L'anno successivo Iris raggiunse il tempio della lirica: il Teatro La Scala di Milano dove, sotto la direzione del maestro Arturo Toscanini, Mascagni bissò il successo romano. In quell'occasione la realizzazione del nuovo manifesto fu affidata a Leopoldo Metlicovitz, che si assestò in una
proposta artistica molto più convenzionale senza raggiungere l'efficacia sentimentale e di armonia degli elementi rappresentati da Hohenstein, al quale certamente il pieno coinvolgimento nell'operazione fornì e stimolò chiavi rappresentative di maggiore levatura artistica.

Roberta Rizzato