lunedì 20 febbraio 2017

Racconto di Venezia. Quando le lapidi parlano. 3



MATHEMAUCI PRIMUM/ CASSINENSIS HUIUS FAMILIAE VIRGINES/ IN COENOBIO SS. BASSI, ET LEONIS/ SUB IPSA REIPUBLICAE INITIA,/ DEINDE/ IN INSULA S. SERVULI M. A PETRO AB: SS. BEN: ET HILARII DONATA/ AN D(om)NI MCIX/ AN(n)UENTIB’ ORDELAPHO FALETRO DUCE, ET IO: GRAD:CO PAT: GRAED(en)SI/ SEDEM FIXERUNT./ PROPTER EXIMIAE EXEMPLA SANCTIMONIAE/ PUBLICAE PRIVATAEQ: RE ID COM(m)ODUM ACCIDIT//
 

Questa lapide commemorativa ricorda le vicissitudini delle monache benedettine del monastero dei Santi Leone e Basso di Malamocco, terra anticamente chiamata Matamauco, che nel 1109 lasciarono il  loro cenobio originario - reso pericolante a seguito di un bradisismo (altri parlano di una spaventosa mareggiata) - per trasferirsi nell’isola di San Servolo.
A venire in aiuto delle monache fu l'abate Pietro di Sant'Ilario che offrì loro una nuova sede visto che i confratelli di San Servolo - presenti nell'isola fin dagli inizi del IX secolo - grazie a ricche donazioni ed elargizioni poterono trasferire la loro sede nella più importante abbazia di sant'Ilario presso Malcontenta. 
Come ricordato nella lapide, tutto questo avvenne quando a Venezia governava il doge Ordelafo Faliero e patriarca di Grado era Giovanni Gradenigo (Ordelafo Faliero rimase in carica dal 1102 al 1117).
Le monache benedettine rimasero nell’isola per più di cinque secoli. Nel 1615, infatti, vista anche l’insalubrità dell’isola e la vacanza della sede del convento dei Gesuiti, nel frattempo espulsi da Venezia, le monache trasferirono il loro cenobio sotto il titolo di Santa Maria dell’Umiltà.

La chiesa e il monastero di Santa Maria dell’Umiltà erano posti dietro alla Basilica di Santa Maria della Salute, lungo la fondamenta delle Zattere; costruiti nei primi anni del XVI secolo, appartenevano, così come la struttura della Trinità, al priorato dei Cavalieri Teutonici. Quando nel 1592 papa Clemente VIII decretò la soppressione del priorato, il complesso venne posto sotto la giurisdizione dei padri Gesuiti, i quali apportarono notevoli modifiche ai fabbricati.
Con l’espulsione, nel 1606, dei Gesuiti dalla città e dall’intero territorio della Dominante, il convento e la chiesa dalla Madonna dell’Umiltà vennero affidati nel 1615 alle monache benedettine dell’isola di San Servolo che li ressero fino alla soppressione napoleonica. L’intera struttura venne poi abbattuta nel 1824.
Per ulteriori informazioni sul complesso di Santa Maria dell'Umiltà, suggeriamo questa lettura:

Fonti bibliografiche e archivistiche:
Moschini G.A., La chiesa e il seminario di S. Maria della Salute in Venezia, Venezia 1842, p. 87 n. 95
Franzoi U.-Di Stefano D., Le chiese di Venezia, Venezia 1975 p. 236

lunedì 13 febbraio 2017

Racconto di Venezia. Quando le lapidi parlano. 2



COR/ RUZIN[AE]/ RUZINI PROCURATISSE/ HIC SITUM EST/ NICOLAUS FUSCARENUS FILIUS EQ[UES ET]/ D. MARCI PROCURATOR/ MONUMENTUM [P]OSUIT/ OBIIT [DI]E [2]5 MARZII/ [1721] //

               Si tratta della lapide sepolcrale apposta da Nicolò Foscarini in memoria della madre Ruzzina Ruzzini, figlia del procuratore di San Marco, nata nel 1650 circa e morta il giorno 25 marzo 1721.
Essa proviene dall'antica chiesa della Trinità, demolita in occasione della costruzione della basilica della Salute.
La chiesa e il convento della Trinità vennero costruiti per volontà del doge Raniero Zeno intorno al 1256 che
li cedette all’Ordine Teutonico, che qui trasferì la sede del suo priorato, forse quale ricompensa per l’aiuto dato dai cavalieri alla Repubblica in occasione della guerra contro Genova.
Quando nel 1592 il papa Clemente VIII sciolse l’antico priorato veneziano, l’intero complesso della Trinità, più le rendite da esso derivanti, venne assegnato al seminario da poco sorto nell’isola di Murano e retto dai padri comaschi. Le successive vicende delle strutture della Trinità sono legate alla terribile epidemia di peste del 1630, e al voto fatto dal governo ducale alla Madonna affinché facesse cessare il morbo. Per adempiere al voto si decise di erigere la grandiosa Basilica della Madonna della Salute proprio nell’area occupata anche dal complesso monastico cancellando dalla visione urbana una struttura architettonica che, nonostante i restauri e le trasformazioni, aveva mantenuto nel tempo i caratteri stilistici dei secoli XI e XII.
             Ma chi erano Nicolò Foscarini e Ruzzina Ruzzini?

Nicolò Foscarini nacque a Venezia il 16 marzo 1671 da Nicolò del ramo di San Stae e da Ruzzina Ruzzini.
Ruzzina Ruzzini apparteneva a una delle famiglie più in vista di Venezia tanto che il fratello Carlo divenne doge della Repubblica nel 1732.
Nicolò venne alla luce già orfano in quanto il padre fu ammazzato il 22 gennaio 1671 da un colpo di pistola sparatogli da Giovanni Mocenigo dopo una lite. Pure il nonno di Nicolò ebbe un destino di violenza: dopo l’omicidio di un artigiano, marito della donna di cui si era invaghito, venne esiliato a Mantova.
Fu lo zio Sebastiano a prendersi cura di Nicolò e del fratello Giacomo, facendolo studiare presso il collegio parigino di Clermont. Nel 1694 Nicolò si sposò con Eleonora di Marco Loredan e solo dopo la nascita dei due figli, Alvise e Marco, intraprese la carriera politica.
Dal primo agosto 1698 al novembre 1699, egli fu capitano a Vicenza. Al suo rientro in città, nel 1700, Nicolò rifiutò l’incarico di Ambasciatore a Parigi e questo gli costò l’allontanamento dalla politica per ben due anni. Dal 1704 al 1710 fu Savio di Terraferma e divenne ambasciatore in Francia e Inghilterra. Nicolò ricoprì molte cariche nelle magistrature veneziane. Morì il 15 novembre 1752.

Fonti bibliografiche e archivistiche:
Moschini G.A., La chiesa e il seminario di S. Maria della Salute in Venezia, Venezia 1842, p. 87 n. 96
Franzoi U.-Di Stefano D., Le chiese di Venezia, Venezia 1975, pp. 237-240
Targhetta R., ad vocem Foscarini Nicolò in Dizionario biografico degli italiani, Roma 1997, vol. 49

mercoledì 1 febbraio 2017

Racconto di Venezia. Quando le lapidi parlano. 1



EMINENTISSIMUS/ DD FEDRICUS/ TITULI S. MARCI/ S.R.E./ CARDINALIS CORNELIUS/ VENETIA R. PATRIARCHI/ DALMATIAEQUE PRIMAS/ PRIMA(m) HAC SUB ARA/ MISSA(m) CELEBRAVIT/ MDCXXXVI VI AUGUSTI//
Spesso, visitando città ed edifici pubblici, ci imbattiamo in lapidi che difficilmente riusciamo a decifrare e a capire il messaggio che racchiudono. Eppure proprio in quelle lastre di pietra o superfici dipinte si racchiude la storia della città e delle persone che contribuirono a farla crescere.
La “lettura” delle lapidi potrebbe costituire uno stimolo per creare nuovi percorsi conoscitivi e turistici alla scoperta di personalità dimenticate o per ritrovare le radici di comunità che arrivate da lontano trovarono nelle città di adozione spazio per far crescere le loro attività.
Il chiostro del Seminario Patriarcale di Venezia racchiude un ampio catalogo di testimonianze lapidee provenienti per lo più da chiese distrutte o parzialmente modificate.
Inizieremo il nostro percorso di riscoperta di personaggi o situazioni passate da una lapide un tempo affissa nel muro dell’antica chiesa di Sant’Antonin di Castello.
Come si può vedere nella vista prospettica della città di Venezia incisa da Jacopo

de’ Barbari nel 1500, la chiesa di Sant’Antonin appare come un edificio a pianta basilicale, a tre navate con facciata a salienti, le pareti laterali partite da alte lesene raccordate nella parte superiore da archetti a tutto sesto e il campanile con alta canna scandita da lesene con cella campanaria a bifora e copertura conica.
Attorno al 1668 l’edificio sacro venne completamente ristrutturato, forse su progetto di Baldassare Longhena, demolendo gran parte dell’antico impianto per far posto a una nuova costruzione a piana quadrata con profondo presbiterio, salvando però la cappella laterale di San Saba decorata con stucchi avvicinabili allo stile del Vittoria.
I lavori si protrassero almeno fino al 1680 e si conclusero nel 1750 con la costruzione de
l campanile con la caratteristica cuspide a cipolla.
Fu sicuramente a seguito di questi lavori che la lapide presa in esame venne asportata e portata in Seminario Patriarca. Essa ricorda la consacrazione del cardinale Federico Corner, patriarca di Venezia, celebrata il 6 agosto 1636.
Ma chi era Federico Corner?
Federico Corner nacque a Venezia il 16 novembre 1579, terzogenito di Marcantonio e Chiara Dolfin di Lorenzo. Appartenente a una delle più ricche e potenti famiglie veneziane - suo padre e suo fratello Francesco divennero dogi - diventò settimo cardinale della casata.
Il 16 gennaio 1588 lo zio Francesco, allora chierico di Camera di Sisto V, gli fece ottenere dal Gran Maestro dell’Ordine Gerosolimitano, il giuspatronato del priorato di Cipro. Successivamente, intraprese studi giuridici presso l’università di Padova, utili per accedere ad alte cariche laiche ed ecclesiastiche. Dopo il conseguimento della laurea, nel 1602, ottenne da papa Clemente VIII la nomina di chierico di Camera.
Divenuto vescovo di Bergamo, vent’anni dopo, non volle però rinunciare alla vita presso la corte papale il che gli permise, il 19 gennaio 1626, di venir nominato cardinale da papa Urbano VIII.
Nel 1631 Federico, dopo varie vicissitudini per l’assegnazione del titolo vescovile di Padova, venne eletto Patriarca di Venezia. Egli però giunse in laguna solo un anno più tardi, il 27 giugno 1632, preferendo nel frattempo risiedere presso l’Abbazia di Vidor, in attesa che a Venezia passasse l’epidemia di peste.
Dopo dodici anni, nel 1644, il Corner rinunciò al titolo patriarcale ritirandosi a Roma dove soggiornerà ininterrottamente, tranne i lunghi periodi trascorsi nella quiete di Vidor, fino alla morte avvenuta il 5 giugno 1653. Fu sepolto nella splendida cappella di Santa Teresa (ove è posto lo spettacolare gruppo scultoreo dell'Estasi di santa Teresa d'Avila, opera di Gian Lorenzo Bernini), nella chiesa di Santa Maria della Vittoria, dove aveva fatto scolpire i busti di sei cardinali della sua famiglia e del doge suo padre.
A Federico Corner si deve la costruzione del Seminario Patriarcale di Venezia.

Fonti bibliografiche e archivistiche:
Moschini G.A., La chiesa e il seminario di S. Maria della Salute in Venezia, Venezia 1842, p. 88 n. 98
Gullino G., ad vocem Federico Corner in Dizionario biografico degli italiani Treccani, Roma 1983, vol. 29